non ci vediamo da tempo, ma la tua influenza è certa. Come quella di Videor. Non so se hai mai visto il libro-biberon, integralmente citato qui.
(scorri fino a "Le pulci di Acapulco")
Con Paolo Guzzanti e Ippolita Luzzo, in occasione della IV edizione di B-Book, stiamo affrontando la questione della letteratura per ragazzi. Con due corollari: si tratterà di libri per bambini adulti o adulti bambini? Non so, ho serie perplessità su questo immaginario fatto di oceani da svuotare, storie di matite e soli tra le dita. Preferirei ironizzare (e - se vuoi divulgare) le tristi storie di Renzi e Di Maio posseduti dal demone del governare.
Oppure gli preferirei un Joyce qualsiasi, ad esempio
Guarda un po' che meraviglia questa pagina. Senza buoni sentimenti, senza bambini semplificati o inesistenti.
(Ciuccio, ovvero la canzoncina del gas)
“Sappiamo tutti perché parli. Sei il ciuccio
di McGlade.”
Ciuccio
era una parola strana. Il compagno dava quel nome a Simon Moonan (…).
Ma
la parola suonava male. Una volta Sthephen si era lavate le mani nel lavabo
dell’Albergo Wicklow e poi suo padre aveva alzato il tappo per la catenella e
l’acqua sporca era andata giù per il buco della vaschetta. E quando era andata
giù tutta, lenta, il buco della vaschetta aveva fatto un suono così: ciuccio.
Solo, più forte.
Ricordare
questo e il color bianco del lavabo, gli faceva sentir freddo e poi caldo.
C’erano due rubinetti che si giravano e veniva fuori l’acqua: fredda e calda.
Sentiva freddo e poi un po’ di caldo: e vedeva i nomi stampati sui rubinetti.
Era una cosa molto strana.
Anche
l’aria nel corridoio lo gelava. Era strana e umidiccia. Ma presto avrebbero
acceso il gas e questo bruciando faceva un rumore leggero come una canzoncina.
Sempre la stessa: e quando i compagni nella sala da gioco cessavano di parlare,
si poteva sentirla.
James Joyce, Dedalus. Ritratto dell’artista da
giovane,
trad.
it. di Cesare Pavese, Frassinelli, 1944, (1916), (p.52)
§
Che dire? Matilde da tempo cita a memoria "Il teatro di Acapulco" e "I corvi di Orvieto" ...
(conversami su Facebook)
§
Risponde Orazio Converso
LIBRIONI 'E NAPULE
i libbri sò piezz'e core, essi, essì ! ma perchè nò semplicemente la diffidata occasione dell'effusione verbale? non è meglio abortire che essere sterili? le ore quando non ci sei...
i libbri sò piezz'e core, essi, essì ! ma perchè nò semplicemente la diffidata occasione dell'effusione verbale? non è meglio abortire che essere sterili? le ore quando non ci sei...
Tutti questi bambini avevano qualcosa di singolare; avevano qualcosa dell'animale e qualcosa dell'uomo adulto, come se, con la nascita, avessero raccolto già pronto un fardello di pazienza e di oscura consapevolezza del dolore. I loro giochi non erano i soliti dei bambini del popolo delle città, simili in tutti i paesi: i fruschi soli erano i loro compagni.
Erano chiusi, sapevano tacere, e, sotto l'ingenuità infantile, c'era l'impenetrabilità del contadino, sdegnosa di impossibili conforti, il pudore contadino, che difende almeno l'anima in un mondo desolato. Erano, in generale, molto piú intelligenti e precoci dei ragazzi cittadini della loro età: rapidi nell'intuire, pieni di desiderio di apprendere e di ammirazione per le cose ignote del mondo di fuori.
Un giorno che mi videro scrivere mi chiesero se avessi potuto insegnarglielo: a scuola non imparavano nulla, col sistema delle bacchette, dei sigari e delle chiacchiere dal balcone, e dei discorsi patriottici. Andavano tutti a scuola, l'istruzione è obbligatoria, ma, con quei maestri, ne uscivano analfabeti. Cosí presero di loro iniziativa l'abitudine di venire qualche volta la sera a scrivere nella mia cucina. Rimpiango di non aver dato loro, per la mia naturale ripugnanza a tutto ciò che è insegnamento diretto, piú tempo e piú cura: un buon maestro non avrebbe mai potuto trovare una migliore scolaresca, né piú ricca di una quasi incredibile buona volontà.
Venne il carnevale, inaspettato e anacronistico. Non ci sono, a Gagliano, per questo, né feste né giochi: sf che m'ero dimenticato della sua esistenza. Me ne ricordai un giorno, quando, mentre passeggiavo nella via principale, oltre la piazza, vidi sbucare dal fondo e correre velocissimi in salita, tre fantasmi vestiti di bianco. Venivano a grandi salti, e urlavano come animali inferociti, esaltandosi delle loro stesse grida. Erano le maschere contadine. Erano tutte bianche: in capo avevano dei berretti di maglia o delle calze bianche che pendevano da un lato, e dei pennacchi bianchi; il viso era infarinato; erano vestiti di camicie bianche, e anche le scarpe erano coperte di bianco.
[191] Portavano in mano delle pelli di pecora secche e arrotolate come bastoni, e le brandivano minacciosi, e battevano con esse sulla schiena e sul capo tutti quelli che non si scansavano in tempo. Sembravano demoni scatenati; pieni di entusiasmo feroce, per quel solo momento di follia e di impunità, tanto più folle e imprevedibile in quell'aria virtuosa.
[191] Portavano in mano delle pelli di pecora secche e arrotolate come bastoni, e le brandivano minacciosi, e battevano con esse sulla schiena e sul capo tutti quelli che non si scansavano in tempo. Sembravano demoni scatenati; pieni di entusiasmo feroce, per quel solo momento di follia e di impunità, tanto più folle e imprevedibile in quell'aria virtuosa.
Mi ricordai della notte di san Giovanni a Roma, quando i giovani vanno in giro picchiando con delle grosse teste d'aglio: ma quella è una notte di felicità collettiva e fallica, di baldoria dinanzi agli enormi piatti di lumache, con i fuochi, i canti, le danze e gli amori nel tepore benigno del cielo estivo.
I battitori di Gagliano erano invece soli, e solitari in una sforzata e cupa follia; si compensavano degli stenti e della schiavitù con un simulacro di libertà, pieno di eccesso e di ferocia vera. I tre fantasmi bianchi picchiavano senza misericordia chi veniva a tiro, senza distinguere, poiché una volta tanto tutto era lecito, fra signori e contadini, e tenevano tutta la strada in salti obliqui, presi dal furore, gridando invasati, scotendo nei balzi le bianche penne, come degli amok incruenti, o dei danzatori di una sacra danza del terrore. Velocissimi, come erano comparsi, scomparvero in alto, dietro la chiesa. Allora anche i bambini cominciarono ad andare in giro con il viso impiastricciato di nero, e i baffi dipinti con i turaccioli bruciati.
Un giorno ne capitarono da me, cosi conciati, una ventina: e quando dissi che sarebbe stato facile mascherarsi con delle vere maschere, mi pregarono di farle. Mi misi all'opera, e feci, con dei cilindri di carta bianca con dei buchi per gli occhi, una maschera per ciascuno, assai più grande del viso, che restava tutto coperto. Non so perché, ma forse per il ricordo delle funebri maschere contadine, o spinto, senza volerlo, dal genio del luogo, le feci tutte uguali, dipinte di bianco e di nero, e tutte erano teste di morto, con le cavità nere delle occhiaie e del naso, e i denti senza labbra. I bambini non si impressionarono, anzi ne furono felici, e si affrettarono a infilarle, ne misero una anche al muso di Barone, e corsero via, spargendosi in tutte le case del paese. Era ormai sera, e quella ventina di spettri entravano gridando nelle stanze appena …